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di Alfredo Anania | |
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Il contributo che la
psicologia può offrire al bisogno che ha l’uomo occidentale
post-moderno di trovare un maggiore equilibrio tra la dimensione
materiale e quella spirituale è legato alla sua capacità di aiutarlo a
comprendere i fattori individuali e gruppali che lo portano a desiderare
in un modo e ad agire nel modo opposto, a sentire l’anelito alla
propria individuazione e contemporaneamente avere bisogno di arruolarsi
a istituzioni e culti, a tendere alla libertà personale e a mantenersi
nello steso tempo schiavo dei consumi, a volere la pace e a praticare
invece la guerra. Se la psicologia può dare un contributo al recupero
della dimensione spirituale è nei termini in cui può aiutare l’uomo
“a diventare ciò che si è” [Friedrich Nietzsche, «Hecce Homo»,
Adelphi, Milano, 1969, p. 52] e a proiettarsi nel futuro senza perdere
le matrici culturali del proprio Sé. La psicologia, nella sua pur breve storia quale
disciplina autonoma, riguardo i problemi dello spirito, ha indubbiamente
fruito dell’interesse del tutto speciale che Jung ha sempre nutrito
verso aspetti della psicologia individuale e collettiva attinenti agli
archetipi, alla filosofia orientale, alla sincronicità, al senso della
divinità, all’alchemia, all’esoterismo e altri aspetti attinenti.
Jung ha certamente tramandato ai suoi discepoli la passione per questi
studi. In fondo, l’attualità post-moderna della psicologia analitica
junghiana trae la sua fortuna dalla sua “borderline” capacità di
affrontare temi per così dire “esoterici” rispetto alle categorie
“eccessivamente logiche” con le quali si tende a spiegare la
complessità dell’umano da parte della maggior parte delle rimanenti
scuole psicoanalitiche. Se non altro, nel pensiero di Karl Gustav Jung,
come afferma Roderick Main, è sempre stata chiara la distinzione
ontologica “tra i diversi tipi di fenomeni: fenomeni materiali (tutto
ciò che si può vedere e toccare con mano, come ad esempio le tavole e
gli alberi), i fenomeni psichici (come ad esempio i pensieri e le
fantasie) e i fenomeni prettamente spirituali come i momenti di insight
e di creatività o l’esperienza del numinoso” [Roderick Main; «The
rupture of Time»; Brunner-Routledge, Hove and New York; 2004; p.172]. L’attenzione verso la spiritualità ha sempre
subito notevoli oscillazioni con il variare del periodo storico, del
luogo e del tipo di cultura emergente. In Occidente, la ricerca di una
nuova dimensione spirituale ha trovato, in tempi recenti, le più decise
espressioni nel movimento New Age, sotto l’influsso della psicologia
junghiana e delle speculazioni di alcuni moderni eminenti teologi. Oggi,
però, dopo il compimento del percorso pontificale di Giovanni Paolo II,
torna a riemergere il cristianesimo. Vedremo più avanti i motivi di
questo ritorno ad opera di Karol Wojtyla. Noi esseri umani, diciamolo francamente, viviamo
nel mistero e per quanta pretesa razionalità tendiamo a dare al nostro
procedere nel mondo, per quanta scientificità possiamo attribuire ai
nostri tentativi di scoprire le leggi che regolano l’Universo, per
quanta capacità di conoscere Dio e il suo volere ci arroghiamo, alla
fine avvertiamo lo stesso d’essersi immersi nel mistero, termine
ambiguo che appunto esprime due possibilità solo apparente opposte:
verità di fede e fatto incomprensibile. È il nostro vivere immersi
nell’irrazionale che genera il bisogno dell’irrazionale, ciò
probabilmente per non perdere il contatto con la matrice primordiale
all’origine del nostro “Sé-Universo”; pur non essendo sicuri che
il “nostro” sia l’unico Universo possibile. Inoltre, bisogna
considerare che proprio le più recenti teorie scientifiche tendono ad
avvalorare fenomeni del tutto singolari come la realtà virtuale, la
meccanica quantistica, le leggi del caos, l’epistemologia della
complessità ecc. Oggi, come afferma Paul Heelas, riusciamo a
distinguere più chiaramente la religione - totalmente centrata su un
dio trascendente al quale si deve obbedienza secondo comandamenti
regolati e trasmessi dall’autorità religiosa che prescrive i rituali
e stabilisce il credo ufficiale - dalla spiritualità: essa è
strettamente personale in quanto esperienza interiore o immanente del
rapporto con il sacro; in questo modo la spiritualità, nella sua più
profonda accezione, significa non qualcosa che trascenda la 'vita' …
ma vita che diventa Dio (e per questo la spiritualità potrebbe essere
più propriamente denominata 'spiritualità della vita’) [Paul Heelas
«The spiritual revolution: from “Religion” to “Spirituality”,
in Linda Woodhead, Paul Fletcher, Hiroko Kwanami, David Smith; «Religions
in the modern world: traditions and transformations»; Routledge, London
and New York 2002; 358-9]. Gordon Kaufman [«On thinking of God as
Serendiptious Creativity», in Journal of the American Accademy of
Religion, 2001], soffermandosi sulla storia e lo sviluppo della parola o
del simbolo di Dio, identifica tre fondamentali filoni di studio, il
primo riguarda la commistione tra l’immagine antropomorfica e quella
filosofica di “Dio”, il secondo riguarda “Dio” in rapporto con
la soggettività e l’aver compreso che Dio o la consapevolezza
dell’infinito risiedono nell’anima o fanno parte dell’umana
esperienza, il terzo attiene all’uso della teologia negativa per
comprendere Dio”. Kaufman “sembra fare affidamento quasi solamente
sulle asserzioni negative riguardanti Dio, dato che quasi tutte le
asserzioni positive su Dio sono antropomorfiche, inadeguate, trattandosi
di creazioni o proiezioni dell’uomo. In definitiva, l’unica
asserzione basica e minima che egli riesce a dare di Dio è di una
casuale (serendiptious) creatività che è manifesta in tutto il cosmo.
Dio non è come gli esseri umani, Dio non è personale, Dio non è
descritto adeguatamente dai teologi del passato, Dio, attraverso la
testimonianza biblica, riverbera solo oscuramente … Queste asserzioni
portano Kaufman ad aggrapparsi al mistero di Dio, vedendo l'attività di
Dio come "creativa", ma anche attraverso questa
categorizzazione, egli allo stesso modo ha molte difficoltà a poter
enunciare una chiara definizione di Dio … poiché è costretto a
cimentarsi parimenti con la necessità di definire la ‘creatività’
…” [http://www.geocities.com/developingtheology/index.html]. Per David Tacey la vita spirituale è una
dimensione esistenziale che non può più essere riservata solo agli
appartenenti alla tradizione religiosa. Infatti, la tendenza a
realizzare una “rivoluzione spirituale” rappresenta un fenomeno
sociale del tutto spontaneo che si traduce in rinnovato “interesse per
la realtà dello spirito e per i suoi effetti risanatori sulla vita,
sulla salute, sulla collettività, sul benessere” [David Tacey; «The
spirituality revolution, the emergence of contemporary spirituality»;
Brunner-Routledge, Hove and New York; 2004, p.1]. La precedente era
scientifica, afferma Tacey, “vedeva l’individuo come una sorta di
macchina efficiente”, oggi stiamo rivedendo i concetti di vita, società
e progresso, senza perdere i vantaggi che ci hanno dato la scienza e la
tecnologia. La nuova rivoluzione è significativamente al centro delle
nuove scienze; soprattutto le recenti scoperte nei campi della fisica,
della biologia, della psicologia e dell’ecologia hanno cominciato a
restituire dignità a visioni della realtà che erano state
antecedemente screditate. La scienza stessa ha vissuto la propria
rivoluzione dello spirito abbandonando l’antica avversione nei
confronti della spiritualità; pertanto, sembra improbabile che la
società occidentale possa tornare a forme di organizzazione religiosa o
a forme teologiche dogmatiche analoghe a quelle esistenti nell’era
premoderna, anche perché il prepotente ritorno del sentire religioso
nei giovani di tutto il mondo fa loro desiderare, sovente non senza una
certa sfiducia, che si possa realizzare un profondo rinnovamento della
società [David Tacey; 2004; pp. 1-2]. Per Roderick Main la rivoluzione spirituale non
rappresenta una sorta di minaccia diretta a sovvertire le strutture
sociali o religiose esistenti, ma si tratta di un movimento che, come
negli anni sessanta, ha lo scopo di ravvivare la cultura tradizionale
attraverso una continua dialettica sia di sfida che di assimilazione.
Soprattutto - il riferimento al New Age è qui d’obbligo – ciò che
ha allontanato l’uomo post-moderno occidentale dalle istituzioni
religiose tradizionali è stata la necessità di recuperare simboli, di
dare uno scopo e un significato non-ordinario alla vita, di sfuggire a
quel ruolo di mero esecutore di azioni imposto dalla tecnocrazia, di
salvaguardare la propria identità e di ridonare senso al mistero. Il New Age costituisce un
movimento spirituale particolarmente interessante per gli junghiani.
Tacey, ad esempio, considera il New Age “un significativo fenomeno
spirituale e gli Jungiani, dovrebbero essere più interessati ad esso,
proprio perché questo movimento ha fatto di Jung uno dei suoi
principali leaders spirituali. Tuttavia, Tacey ritiene che il New Age
costituisca un’“ala” particolarmente commercializzata e
consumistica del rinnovamento spirituale dato che non è in grado di
compensare ma addirittura riproduce molte delle caratteristiche della
società dei consumi nella sue attività industriali e imprenditoriali,
creando in pratica un “consumismo spirituale” quale “diffuso
prodotto della cultura popolare americana” che, nel campo psicologico,
a causa della “sua produzione su Jung”, ha condotto alla stessa
“americanizzazione di Jung”. Secondo Tacey, in ogni caso, il New Age
ha avuto la funzione di controbilanciare la stasi delle nostre
consolidate tradizioni religiose “stimolandoci a recuperare tutto ciò
che è stato represso o ignorato dalle tradizionali religioni
occidentali: il sacro femminino, la divinità femminile, il corpo, la
natura, gli istinti, l’estasi e il misticismo” [David Tacey; «Jung
and the New Age»; Brunner-Routledge, Hove and New York; 2001; pp. IX-X,
5). Roderick Main fa notare come vi siano grandi
controversie sull’uso della frase “New Age” per il fatto che
spesso sotto quest’etichetta vengono indistintamente compresi Wicca,
neo-paganesimo e altri - nuovi o rispolverati - movimenti religiosi con
i quali invece, secondo molti, non va confuso il movimento New Age.
Altri ancora, i quali inizialmente avevano accolto l’etichetta ‘New
Age’, oggi preferiscono denominazioni alternative quali ad esempio
‘spiritualità olistica’ (e.g. Bloom 2003). [Roderick Main; «The rupture of time»;
Brunner-Routledge, Hove and New York; 2004; p. 152]. Se però per un momento trascuriamo il fenomeno
nella sua dimensione di evento che riguarda una parte della collettività
e consideriamo i suoi aspetti psicologici dal punto di vista
dell’individuo “New Age” forse possiamo scoprire qualcosa di più
intrigante. Per esempio, Wouter J. Hanegraaff dice che “il movimento
New Age tende a fare di ogni singolo individuo il centro del proprio
mondo simbolico” [Wouter J. Hanegraaff; «New Age religion and western
culture: Esotericism in the mirror of secular thought »; E. J. Brill,
Leiden,1996 – republished: State University of New York Press, Albany,
New York; 1998], cosicché l’esperienza personale viene anteposta ad
ogni credo istituzionale e l’autorità del Self spirituale diventa
primaria rispetto ad ogni fede. Tutto ciò desta la preoccupazione delle
religioni ufficiali (Cristiana, Ebraica, Islamica), e soprattutto della
religione cristiana dal momento che essa rappresenta la principale
religione proprio in quei paesi dell’Occidente dove maggiore sviluppo
ha avuto il New Age. In un documento, edito dal Pontificio Consiglio
Della Cultura e dal Pontificio Consiglio Per Il Dialogo Interreligioso,
dal titolo «Gesù Cristo portatore dell’acqua viva – Una
riflessione cristiana sul New Age» la Chiesa Cattolica riconosce che
“Il New Age è attraente soprattutto perché molto di quanto offre
soddisfa aspirazioni, spesso non soddisfatte dalle istituzioni
ufficiali”. Dal documento traspare una notevole prudenza:
“l'attrazione che la religiosità New Age esercita su alcuni cristiani
è in parte dovuta alla mancanza di una seria attenzione nelle proprie
comunità a temi che fanno realmente parte della sintesi cattolica,
quali l'importanza della dimensione spirituale dell'uomo e la sua
integrazione con l'insieme della vita, la ricerca di un significato per
essa, il legame fra gli esseri umani ed il resto della creazione, il
desiderio di un cambiamento personale e sociale, ed il rifiuto di una
visione razionalista e materialista dell'umanità … È essenziale
tuttavia cercare di capire il New Age correttamente per valutarlo con
serenità ed evitare di farne una caricatura. Sarebbe sconsiderato e
falso affermare che tutto ciò che è legato al New Age è giusto o è
sbagliato … Il New Age non è altro che il testimone di una
rivoluzione culturale, una reazione complessa alle idee e ai valori
dominanti della cultura occidentale e tuttavia il suo criticismo
idealista è paradossalmente tipico proprio della cultura che
combatte” (in http://www.vatican.va/roman_curia/
pontifical_councils/interelg/documents/
rc_pc_interelg_doc_20030203_new-age_it.html). I citati Pontifici Consigli della Curia Romana
sembrano invece scagliarsi con particolare enfasi proprio contro Jung e
gli Junghiani: “Jung sottolineò il carattere trascendente della
coscienza e introdusse l'idea dell'inconscio collettivo, una specie di
magazzino di simboli e memorie comuni a persone di varie epoche e
culture. Secondo Wouter Hanegraaff, [Jung contribuì] a una «sacralizzazione
della psicologia» … infatti, ‘non solo conferì all'esoterismo un
carattere psicologico, ma sacralizzò la psicologia, riempiendola di
contenuti tipici della speculazione esoterica. Il risultato è un corpo
di teorie che ha permesso alle persone di parlare di Dio intendendo in
realtà la propria psiche e della propria psiche pensando di fatto al
divino. Se la psiche è «mente», e anche Dio è «mente», allora
mettere in discussione l'una significa mettere in discussione
l'altro’. Jung rispose all'accusa di aver «psicologizzato» il
cristianesimo, affermando che ‘la psicologia è il mito moderno e che
la fede si può comprendere solo mediante tale mito’ … Un elemento
centrale nel suo pensiero è il culto del sole, dove Dio è l'energia
vitale (libido) all'interno di una persona. Come disse egli stesso:
‘questo paragone non è un mero gioco di parole’. Jung si riferisce
a un «dio interiore», la divinità essenziale che riteneva fosse
presente in ogni essere umano. Il cammino verso l'universo interiore
passa per l'inconscio. L'armonia fra mondo interiore e mondo esteriore
sta nell'inconscio collettivo” (in
http://www.vatican.va/roman_curia/
pontifical_councils/interelg/documents/
rc_pc_interelg_doc_20030203_new-age_it.html). Alla base della critica a Jung da parte della
Chiesa Cattolica c’è anche una “questione astrologica”: la
precessione degli equinozi che avviene ogni 2160 anni e che ci starebbe
trasportando dall’Era dei Pesci, la costellazione che aveva visto
l’avvento di Gesù Cristo, (dominata dalla sofferenza, dai sensi di
colpa, dal cosiddetto “peccato oriiginale”) alla costellazione
dell’Acquario. Proprio Jung aveva preconizzato che sarebbe avvenuto,
in coincidenza con l’avvento dell’Era dell’Acquario, un grande
cambiamento: una trasformazione duratura della psiche collettiva [Roderick
Main; «The rupture of time»; Brunner-Routledge, Hove and New York;
2004; p. 165], contraddistinta, presumibilmente, dalla solidarietà e
dall’armonia dei popoli. Siamo davvero agli inizi di
tale radicale cambiamento della psiche collettiva? Sta per avverarsi la
grande profezia di Jung? Oppure si preparano secoli ancora più bui
sotto la spinta di macrointeressi economici e di riesumate guerre di
religione? Cosa deve cambiare nel mondo sociale sin da adesso perché si
realizzi l’avvento dell’auspicata felice Era dell’Acquario? Papa
Wojtyla è il simbolo preannunciante tale trasformazione dell’umanità? Non abbiamo la presunzione di potere dare risposte
a così imponenti e complessi interrogativi. Però desideriamo
continuare il nostro filo tematico, che si muove lungo le tracce della
psicologia analitica, affinché questioni così fondamentali,
soprattutto per le future generazioni, non cadano facilmente nel
dimenticatoio dietro la non-innocente indolenza della nostra vita
ordinaria; di questo percorso discorsivo un punto di obbligato passaggio
è l’accenno al ruolo delle istituzioni. Le conquiste tecnologiche, le scoperte della
scienza quantistica e la “filosofia informatica” ci hanno portato a
sviluppare una concezione di Dio come un computer perfetto, come una
primordiale scelta tra si/no, 0/1, qui/non-qui, Io sono/Io non-sono; Dio
come affermazione di un Bit-Supremo: un Sopraonnipotente Sì, Io-Sono,
Uno, Io-Esisto. Così come un individuo costituisce una realtà
(nei limiti delle nostre possibilità di conoscenza), anche il Papato
(quale istituzione) è una realtà - ma solamente nel senso proposto da
John Roger Searle [«The construction of social realty», Free Press
Pub. New York, 1995] il quale distingue tra "‘fatti bruti’,
ossia fatti che esistono indipendentemente dal linguaggio che li
descrive, e ‘fatti istituzionali’ ossia fatti la cui esistenza è
legata agli uomini. In tale prospettiva, le strutture e i fenomeni che
caratterizzano la società non hanno alcuna realtà intrinseca: sono
‘fatti’ soltanto in virtù di un accordo tra gli uomini, ossia perché
questi ‘credono’ alla loro esistenza. Riguardo i fatti istituzionali si potrebbe dire in
lingua inglese: “there are plenty of other fish in the sea”! Dio è una realtà invisibile ed in quanto tale
esso “è/non-è”. Ora è chiaro che tutte le istituzioni che si sono
auto-investite del potere di gestire le verità su un’entità
non-visibile (non-immaginabile, non-descrivibile e, inoltre, ritenuta
eterna e immutabile) fanno presto a individuare un “capro
espiatorio” (vedi Renè Girard, [«Le bouc emissaire» le Editions
Grasset & Fasquelle, Paris, 1982]) sul quale è facile rivoltare la
propria inadeguatezza all’evoluzione dei tempi. Cosa possono capire
persone o apparati istituzionali – la cui missione è mantenere una
verità eterna e immutabile – riguardo quella realtà, che appartiene
allo psicanalista, che consiste nell’esplorare continuamente l'ignoto
di se stesso e dell'altro, in una perenne ricerca e divenire? Uno dei
principali meriti di Jung è stato l’aver indicato l'importanza del
processo di individuazione che è un percorso che dura tutta la vita;
inoltre, quello che per i suoi contemporanei non è stato proprio un
merito – l’andare oltre l’iper-razionalismo freudiano, dando
eccessivo rilievo alla spiritualità - è il motivo principale per cui
Jung ha acquistato così grande valore presso le generazioni successive. Comunque, realmente, tutte le grandi istituzioni
religiose hanno intrecci storicamente forti con la politica, mentre è
noto che molti psicanalisti hanno sempre guardato al mondo politico
senza alcuna simpatia. Thomas Singer [«The Vision Thing»; Routledge
Pub., Hove and New York, 2000, p. 4] delinea un continuum tra
mito/archetipo e politica, un campo di azione al cui il centro è la
psiche. Singer scrive: “Ad una estremità dello spettro c’è
l’ambito puramente mitologico o archetipo coi suoi grandi temi di
morte e rinascita, trasformazione interna e rinnovamento esterno,
l’uomo e Dio. All'altra estremità, dello spettro immaginario, il
campo della politica di ogni giorno coi suoi giochi di potere, gli
affari, le mistificazioni e le falsità ed una conoscenza piuttosto
sostanziale del mondo pratico”. Su questo, in conclusione, nulla
ancora di nuovo, dice Singer, infatti “Le Upanishad, il Corano, la
Bibbia e quasi tute le altre sacre scritture delle grandi religioni
mondiali si cimentano di continuo con l’uomo quale animale politico in
modo antitetico al fondamentale archetipo dell’incontro profondo con
lo spirito”. Eli B. Weisstub [«Reflections
from the back side of a dollar: myth and the origins of diversity», in
Thomas Singer «The Vision Thing»; Routledge Pub., Hove and New York,
2000, pp.143-144] mostra come, dopo tutto, “una riforma religiosa può
anche avvenire quale risposta all’oppressione politica. Il
bisogno di rinnovamento spirituale e religioso spesso connota un
cambiamento sociale e politico. Storicamente, i principali movimenti
religiosi hanno avuto la loro evoluzione proprio da circostanze
politiche difficili … Potere e ricchezza non sono sufficienti ad
assicurare un più profondo senso di sicurezza e di benessere. Il
cambiamento politico è inevitabilmente collegato a bisogni
spirituali”. In un accorato scritto, Roberto Gambini [«L’anima
del sottosviluppo - Il caso del Brasile», Psicologia Dinamica, I, 2-3,
1997, pp. 42-43] discute il concetto di “sottosviluppo”, termine
questo che ha permesso una manipolazione secolare: “Tra poco saranno
cinque secoli che abbiamo avuto inizio come nazione [il Brasile] sotto
l'incantesimo di un'altra frase, questa volta del Papa:’“Non esiste
il peccato al di sotto l'Equatore’ … Questa affermazione rivela
come, nella società che si stava creando nelle terre recentemente
scoperte, avrebbe regnato l'ombra. Nell’Europa Cattolica del XVI
secolo l'ombra fu mantenuta sotto relativo controllo dalle istituzioni
etiche e dalle leggi civili, così abusi estremi come lo sfruttamento
umano, la schiavitù, l’omicidio - in una parola, il Male esplicito
– erano condannati e puniti. L'ombra, tenuta a freno, premeva per
trovare una via d'uscita, per essere vissuta e proiettata. Così quando
una vasta area geografica viene aperta nell'orizzonte storico sotto
l'intestazione ‘qui è permesso’, l'ombra sbarcò sulla riva e corse
felicemente libera, proclamando: ‘ce l’ho fatta! Questa è la mia
casa!’ … Se noi analizziamo, passo dopo passo, questa “ombra” e
questo enunciato “non c'é peccato sotto l'Equatore”, noi acquisiamo
una comprensione psicologica (e non solo socio-economica) della schiavitù–
prima degli Indiani e poi degli Africani – dato che su queste due
razze si è riversata l'ombra della Cristianità. In breve, gli Indiani
e gli Africani erano considerati come naturalmente inferiori e dominati
dal Diavolo - in un tempo, di fatto ancora attuale, in cui il così
detto uomo civilizzato non aveva raggiunto la maturità psicologica di
ammettere la barbarie e la distruttività della propria ombra. Inoltre,
la nostra analisi deve prendere in considerazione l'atteggiamento avido,
rapace dell’uomo bianco che si comportava verso l'America come se
fosse un albero ricco di frutti che aspettavano solo di essere raccolti,
o la cornucopia dell'abbondanza – come comunque è possibile scorgere
in molti dipinti allegorici e tappezzerie del periodo Barocco in Europa.
‘Prendi tutto quello che puoi’ - questo era il motto che trascinava
i conquistatori, che appunto portavano via, espropriavano, sequestravano
e violentavano come se la terra, prima del loro arrivo, non appartenesse
ad alcuno. Il nostro primo atto anti-ecologico, nel 1500, fu di tagliare
il legno brasiliano, molto in voga allora come tintura rossa per stoffe.
Considero questo il punto d’inizio della devastazione della foresta,
ma i nostri bambini non impareranno questo a scuola: la civilizzazione
inizia come distruzione di natura e dell’anima ancestrale della terra
- soprattutto per mezzo di una forzata conversione degli Indiani al
Cattolicesimo”. Dale Mathers [«Religion, politics and the
collective unconscious», in «An introduction to meaning and purpose in
analytical psychology», Brunner-Routledge, Hove and Taylor &
Francis, Philadelphia, Pub., 2001, p. 217-220] a proposito di
implicazioni istituzionali osserva: “religione e politica appaiono
quali apparati propriamente predisposti per fissare regole. Incapaci di
dare profondità e significato alla vita, il loro demarcare (ermetici)
confini sociali finisce col fallire. Miti culturali, religione e
politica definiscono e determinano gradi di potere: chi è padrone e chi
è schiavo, chi dice che suonare un'arpa tutto il giorno è un
‘paradiso’… Quando ciò che è spirituale viene mescolato con ciò
che è materiale, le loro manifestazioni sociali - religione e politica
- procedono insieme. Entrambe un tempo erano una prerogativa dei Signori
(temporali e spirituali) ma ora c’è una nostra corresponsabilità;
noi condividiamo un pianeta, abbiamo le stesse strategie archetipiche
per creare significati - ed un comune spirito umano. La psicologia
analitica proviene da una posizione filosofica di idealismo
epistemologico - noi ‘diamo autorità alle ragioni della mente per
garantire un ordine morale nel mondo e/o (noi) assegniamo un’autorità
alle cose della mente a causa dell’ordine morale che è riflessione
sull’esistere’ ([Marilyn Nagy, «Philosophical Issues in the
Psychology of C.G. Jung», Albany NY: State University of New York
Press, 1991, p. 45]. Dale Mathers riguardo la “governance” afferma
che “religione e politica sono due facce di una stessa moneta, un
unico sistema di valori … questo sistema di valori garantisce le
demarcazioni”, in realtà per Mathers “religione e politica”
unitamente “formano un archetipo - la ‘Governance’, una forma
sociale della funzione trascendente … questa idea deriva dalla
dialettica di Hegel: il materialismo dialettico di Marx, ed ‘lo
spiritualismo dialettico’ di Jung. Religione e politica (spesso
considerate tesi ed antitesi) possono essere sintetizzate in un insieme
- la governance … la Governance deriva dall’interazione di miti
appartenenti alla cultura con miti personali per formare modelli di
significato socialmente plausibili, convalidando alcuni percetti (e
precetti) rispetto ad altri. Essa crea questi modelli usando totem (dal
significato numinoso, come la Stella di David) e tabù (come cibo
ritualmente puro). Individui e gruppi ottengono significativa
validazione attraverso atti di chiusura e di apertura. Per esempio, per
i cristiani, il battesimo chiude nell’appartenenza e apre ai benefici
dell’appartenenza”. L’“Anima” rivoluzionaria (una rivoluzione
culturale) della Psicologia Analitica sicuramente trae origine dal suo
fondatore, infatti Jung mostrò una costante tendenza a rompere con la
cultura tradizionale proprio perché egli attribuiva alla Psicologia
Analitica la capacità di portare luce nuova alla comprensione
dell’essere umano nelle sue varie dimensioni, particolarmente quella
spirituale e quella religiosa, ed è giunto sino a reinterpretare i
testi sacri, in particolare la Bibbia, e la relazione dell’uomo con la
divinità. Su questo, è interessante leggere lo scritto di Paul Bishop
dal titolo «Jung’s answer to Job» [Brunner-Routledge, Hove and New
York, 2002], che è un commentario particolareggiato su un’opera
particolarmente difficile di Jung [C.G. Jung, «Answer to Job», in C.G.
JUNG, «Collected Works», V. 11, Princeton University Press,
Princeton]. Per Jung, se da una parte Dio ha bisogno dell'uomo per
divenire conscio e per avere una delimitazione spazio-temporale,
dall’altra parte sta contemporaneamente emergendo nell'uomo moderno
soprattutto una maggiore ‘centralità’ della coscienza e
un'esperienza del ‘numinoso’ collegata all'esperienza psichica,
tutto questo determina un incontro diverso tra l'uomo e Dio che, a
partire dalla trasformazione del Dio in uomo, trova in Cristo il
paradigma del processo di individuazione che è l'incontro tra Self e
Ego [Edward F. Edinger, «Christ as a paradigm of the individuating Ego,
Spring, New York, 1966]. La “psicologia teologica”, avviata da Jung non
solo ha creato profonde controversie tra psicanalisti e teologi, ma
anche varie controversie fra gli stessi psicanalisti junghiani. Da
questo punto di vista è molto interessante la raccolta di scritti – a
cura di Robert Withers [«Controversies in analytical psychology»,
Brunner-Routledge, Hove and New York, 2003]- della quale ora
menzioneremo alcuni scritti. Elizabeth Urban [«Response to commentaries by
Julian David and Robert Hinshelwood», in op. cit., Robert Withers,
2003, p. 43] afferma che “nella psicologia junghiana sono considerati
due centri organizzatori della personalità, il Self e l'Ego” e che
per Jung il Self è certamente “più fondamentale dell'Ego”; questo,
Urban spiega, perché “la concezione junghiana sorse dall’interesse
di vecchia data di Jung verso la psicologia degli stati spirituali della
mente, non come espressioni di stati mentali infantili o di difese
contro gli stessi ma come irriducibili stati in sé. Il primo cenno di
Jung a quella che poi sarebbe divenuta la sua concezione del Self si
trova in uno scritto che descriveva fenomeni psichici nei quali gli
opposti - buono e cattivo, amore ed odio – erano trascesi … Questo
punto di vista fu da Jung applicato ad una nozione di Dio analoga a
quella dei primi Gnostici e al concetto Hindu di Atman, dato che
entrambe le scuole di pensiero avevano sviluppato la concezione,
attraverso un processo non-razionale, di un ultimo che trascende gli
opposti. Jung comprese che queste erano espressioni di una componente
essenziale del genere umano, che egli denominò il Self, proiettata
tanto nella religione quanto nella scienza e nella psicologia. Esso
rappresenta l'intrinseca interezza dell'individuo al di sotto ed di là
del contrasto degli opposti”. Roderick Main [«Analytical psychology, religion
and academy», in op. cit., Robert Withers, 2003, pp. 192-199] esprime
la convinzione che “all'inizio del ventunesimo secolo, la religione
rimane uno dei principali attori nello scenario mondiale; essa non sta
scomparendo né, guardando da una prospettiva globale, sta declinando.
È vero che alcune manifestazioni della religione … hanno avuto un
calo, ma altre, come le numerose forme di fondamentalismo e di
spiritualità alternativa, che appaiono in tutto il mondo, fioriscono
velocemente. Piuttosto separatamente … da queste manifestazioni
esplicite di religione, c'è anche una consapevolezza crescente di
‘religione implicita’ cioè un impegno di stile religioso che
informa le attività secolari. Sia esplicitamente che implicitamente, la
religione rimane legata inestricabilmente alla politica, all’economia,
alla morale, alla salute, agli stili di vita e, in generale, alla
cultura. Circa i molti punti di somiglianza tra la spiritualità New Age
e gli aspetti religiosi della psicologia analitica, Main segnala:
“entrambe hanno un’ambivalente ma fortemente oppositiva relazione
con la modernità secolare. Entrambe tendono a reagire contro le
tendenze riduttive della scienza moderna mentre alla stesso tempo si
appropriano selettivamente delle idee della scienza moderna. Entrambe
attribuiscono grande importanza alle idee di trasformazione
psico-spirituale. Entrambe si occupano ecletticamente di tradizioni
non-occidentali, pre-moderne, ed esoteriche. Entrambe frequentemente
inquadrano l'esperienza contemporanea in termini di mito. Entrambe
attribuiscono priorità all'esperienza personale rispetto alle credenze
istituzionali. Soprattutto, entrambe individuano l’autorità nel Self
individuale. Sui punti di somiglianza tra il Fondamentalismo Religioso e
dimensioni religiose della psicologia Analitica, Main fa notare che per
il fondamentalismo religioso “esiste una realtà trascendente, che la
conoscenza può essere rivelata divinamente e che la dedizione emotiva
alla conoscenza rivelata può plausibilmente prevalere su ogni critica
razionale che se ne possa fare. Qui, in questo terreno, che il
fondamentalismo ha in comune con molte delle principali correnti
religiose, ci sono delle affinità con psicologia analitica. Infatti,
anche la psicologia analitica riconosce e presta attenzione ad una realtà
trascendente, accetta la possibilità di una conoscenza rivelata e
riconosce la validità anche di forme non-razionali di apprendere e
valutare la verità. Ma sicuramente rimangono sostanziali differenze. In
psicologia analitica, c’è minore dogmatismo e minore certezza sulla
caratterizzazione del trascendente, le rivelazioni (e.g., nella forma di
sogni) sono primariamente individuali e attinenti a circostanze molto
specifiche; e la valutazione della consapevolezza emotiva è un
complemento utile piuttosto che una difensiva alternativa alla ragione.
Comunque, il fatto che la psicologia analitica rispetti questi principi
… consente un certo accesso partecipativo al mondo di pensiero del
fondamentalismo. Infine, Main rileva che mentre la religione rappresenta
“un fenomeno multidimensionale”, “la psicologia analitica ha
sviluppato la tendenza a focalizzare solamente alcune dimensioni … (in
particolare l'esperienziale e la mitica), trascurandone altre (come
quella sociale, economica e politica)”. Melanie Withers [«Religion and the terrified», in
op. cit., Robert Withers, 2003, pp. 207-209] sottolinea come “per una
vasta percentuale della popolazione mondiale, l'attaccamento ad una
sacra divinità rappresenti il cardine della vita quotidiana. Il
pensiero islamico continua ad essere in ascesa, mentre il Cristianesimo
evangelico e le credenze New Age, come rilevato da Main, continuano ad
attirare devoti. Paradossalmente, abbandonando il modo di pensare
individualistico, cedendo l’indipendenza personale e riconoscendosi
privi di potere, i credenti si sono dati gli strumenti per vivere e gli
assetti per sopravvivere a tutte le eventualità. I benefici sono
triplici. I fedeli possono aspettarsi sollievo riguardo le responsabilità
e sicurezza riguardo le ansie della vita continuando a scaricare tali
preoccupazioni su un essere onnipotente. Inoltre, la più annichilente
delle visioni - l’interminabile vuoto della morte – può essere
evitata attraverso la sicurezza di una vita ultraterrena. Tutto ciò è
comprensibilmente seducente. Quello che è meno comprensibile, secondo
Melanie Withers, à la tendenza fra alcuni psicanalisti a trovare figure
da elevare, dopo Freud, per così dire a una superiore “onniveggente
deità … Jung è elevato allo status di nuova figura di culto” [R.
NOLL, «The Jung Cult: the Origin of a Charismatic Movement»,
Princeton, NJ: Princeton University Press, 1994]. Riguardo le
istituzioni, Melanie Withers mostra il convincimento che “Chiesa,
tempio e moschea, governo, scuola e posto di lavoro offrono il setting
per le nostre vite quotidiane. Nell'offrire l'illusione di un ordine
esistenziale attraverso attività specificamente predisposte regolanti
comportamento, pensieri ed azione, le gerarchie istituzionali filtrano
le ambiguità circa il nostro status e imbandiscono il palcoscenico
mondiale”. Ancora Melanie Withers, prestando attenzione alla questione
del “soggiacere alla governance umana”, considera come “nella
maggior parte delle società gli individui e i gruppi si assoggettino a
governances umane percepite come sagge, compassionevoli o benevolenti.
Nel cercare la protezione dei leader ritenuti più intelligenti, abili e
potenti di se stesse, le persone aspirano a ricevere oneri e
responsabilità individuali, sopportati sulle proprie spalle, sebbene
allo stesso tempo bramino d’essere liberi. Freud chiaramente,
interpreterebbe questo come un desiderio di ripetere la relazione
genitore-bambino con la quale noi abbiamo grande familiarità e che
tutti noi abbiamo utilizzato per affrontare aspetti fondamentali
dell'ansia esistenziale, benché con gradi diversi di successo. Rimane
il fatto che sin dall'infanzia noi siamo condizionati a seguire le
ingiunzioni dei nostri genitori. Scambiare salvezza e sicurezza, se non
amore e cura, per l'obbedienza e subordinazione è comunque difficile
con il passare del tempo; il concetto di individuazione di Jung opposto
a quella di subordinazione qui rappresenta qualcosa di questa lotta.
Come adulti noi possiamo ben tentare di rinegoziare gli equilibri di
potere”. Dale Mathers [op. cit., 2001, p. 220] riguardo la
psicoanalisi dice “Le teorie sono le nostre ‘migliori verità’, ma
noi non possiamo avere la libertà di formulare una teoria senza
responsabilità, o responsabilità senza la libertà di scegliere
d’essere responsabili delle nostre azioni … La meta è quella che
Andrew Samuels [«The Political Psyche», Routledge, London, 1993, p.
111-34] chiama ‘risacralizzazione’ - riscontrare il sacro (il
numinoso) nella vita di ogni giorno - ‘Glory to God in the High
Street’. Noi [psicoanalisti] non creiamo acquiescenti, socialmente
adattati ‘felici lavoratori’ o nietzschiani superuomini, ma
miglioriamo l’integrazione personale e sociale, la scoperta di uno
scopo personale e sociale, aumentando la capacità individuale a
conferire significato”. David Tacey [op. cit., 2400, pp. 11, 154-155] è
dell'opinione che una rivoluzione della “spiritualità sta acquisendo
spazio nelle società Occidentali ed Orientali tanto come conseguenza
degli errori della politica quanto perché rappresenta un contenitore di
speranze e di scopi significativi. Questa rivoluzione non va confusa con
la marea crescente del fondamentalismo religioso, anche se entrambi sono
interessati allo stesso fenomeno: l’emergere del sacro quale forza
trascinante la società contemporanea. La spiritualità e il
fondamentalismo stanno agli estremi opposti dello spettro culturale. La
spiritualità cerca con il sacro un rapporto sensitivo, contemplativo e
trasformativo, ed è capace di sostenere livelli dell'incertezza nella
sua ricerca perché il rispetto per il mistero è al di sopra di ogni
cosa. Il fondamentalismo cerca certezze, risposte fisse e l'assolutismo,
quale pavida risposta alla complessità del mondo ed alla nostra
vulnerabilità come creature in un universo misterioso. La spiritualità
deriva dall’amore per il sacro e dall’intimità con esso, mentre il
fondamentalismo deriva dalla paura e dalla ossessione dal sacro. La
scelta tra la spiritualità e il fondamentalismo è una scelta tra
l'intimità consapevole e un inconscio possesso. Tacey pensa che la
modernità protende verso un'immagine nuova di Dio “‘Egli” non
vuol ritornare nella stessa forma di prima, infatti il pronome
‘egli’ potrebbe essere lasciato cadere del tutto, dal momento che
noi non crediamo più che Dio sia un uomo (se mai noi lo facessimo), e
neanche ‘maschile’ quale principio cosmico. Dio ritornerà ancor più
perché Dio è un'idea archetipica, e tali idee sono eterne ed
enormemente preziose, anche se a volte vengono ridimensionate e
dichiarate ridondanti”. Anche la nuova scienza, “aperta alla
possibilità del mistero” ancora una volta sarà “costretta a
riaprire il caso sull'esistenza di Dio”. Trattare dal punto di vista psicologico le istanze
di rivoluzione spirituale e focalizzarle sui movimenti più in voga -
che certamente si sono mossi al di fuori e al di là delle religioni
istituzionali tradizionali – poteva certamente risultare meno arduo
prima che si compisse il percorso apostolico di Karol Wojtyla.
Probabilmente molti possono “sentire” che qualcosa è cambiato, ma
non è compito facile trovarne le ragioni anche perché si tratta di
eventi troppo recenti nei quali tutti ci siamo trovati direttamente
(perché cattolici) o indirettamente (perché testimoni storici)
coinvolti. Forse, ancora una volta, possiamo ricorrere alla psicologia
per trovare utili chiavi di interpretazione. È evidente che minori sarebbero state le difficoltà
se Karol Wojtyla fosse stato un tipico “messaggero dello spirito”, o
meglio, un “eroe della fede” (genere eroico molto più raro rispetto
ai classici eroi “vigore e forza guerriera”) [Alfredo Anania, «Il
Mito dell’eroe tra passato e futuro», Psicologia Dinamica, III,
1-2-3, 1999, p. 35] il quale, il più delle volte, corrisponde ad una
persona generalmente estremamente “umile”, priva di qualsiasi potere
(istituzionale, politico, religioso) se non il “mana” che emana da
ogni essere profondamente spirituale e ricco di humanitas; basti pensare
a Madre Teresa di Calcutta. Invece no, in questo caso, l’“eroe della
fede”, Karol Wojtyla, è/è stato addirittura il capo di Santa Romana
Chiesa! È questo un caso, la storia ci insegna, del tutto eccezionale.
È in virtù di questa sua duplice veste che è stato possibile a Karol
Wojtyla preludere il rinnovato avvento della spiritualità cristiana. Noi non sappiamo se la ricerca, potremmo dire “l’anelito” di Karol Wojtyla verso l’altro, tradisca in realtà un’inconscia ricerca della madre (e pertanto del femminile o del “femminile” del Dio) di cui ha patito precocemente la perdita, in tal caso ancor più suggestiva può apparire la sua predilezione per la circolarità - che appartiene alla gruppalità - se è vero quel che afferma Fornari che l’“imago materna” emerge come invisibile presenza fantasmatica “come corpo illusorio del gruppo che tiene uniti gli individui quali membra reali” [Franco Fornari, «Psicoanalisi della guerra», Feltrinelli, Milano, 1970, p. 121]. Non sappiamo se l’amore di Karol Wojtyla verso l’umanità – che inteso nella sua coralità può rappresentare un simbolo fantasmatico dell’imago materna e, pertanto, del femminile più in generale - sia l’esatto contrapposto del possibile odio inconscio di Bush o di Bin Laden verso l’“imago paterna”, presumibilmente sentita come invasiva e nemica. Quel che possiamo affermare con sicurezza è che paradossalmente solo chi, come Papa Wojtyla, ha provato il vero amore può accettare senza paura di poter varcare la buia soglia della morte. |
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