LA PSICOLOGIA DI COMUNITA' E LA RICERCA-ANALISI
FINALIZZATA ALL'EMPOWERING SOCIALE

di Alfredo Anania

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Scopo primario della psicologia di comunità è ricercare il modo di migliorare la qualità della vita e il benessere di una comunità attraverso strumenti di ricerca finalizzati ad individuare (ricerca-analisi, network analysis) le cause psicosociali di disagio individuale e collettivo e, alla luce dei dati acquisiti attraverso la ricerca sul “campo” (quale contesto-spazio vitale inclusivo dell’ambiente fisico, sociale e psicologico), ad elaborare insieme agli appartenenti alla comunità dei progetti (intervento-azione sociale) che si traducano in un empowerment della comunità.

L’ideale sarebbe operare in modo da aumentare la consapevolezza dei problemi da parte dei membri di una comunità e aiutarli a progettare autonomamente i cambiamenti desiderati, ma non sempre è facile superare le diverse forme di resistenza, compresa la mancanza di una vera tradizione al riguardo, e gli ostacoli che possono continuamente frapporsi alla realizzazione di un tale percorso operativo. D’altro canto, è vero che tutta una serie di interventi rientranti nella community development psychology che appaiono come interventi di “azione sociale” non raramente finiscono col risultare difficilmente distinguibili dall’“azione politica”, mentre a nostro giudizio è compito dell’operatore psico-sociale il saper mantenersi nell’ambito della specifica consulenza tecnica.

L’agire psicosociale finalizzato allo sviluppo di comunità può utilmente consistere nell’offrire sistemi di “sostegno sociale” tali da incrementare i livelli di informazione, partecipazione e comunicazione interpersonale all’interno del territorio in cui si interviene, potenziando le interazioni tra le singole persone e i gruppi che compongono l’intera comunità e operando sia a livello di network formale (istituzioni, enti, ecc.) sia a livello di network informale (la rete di familiari, amici, conoscenti, gruppi di auto-aiuto e così via).

In un periodo storico in cui finalmente si riconosce sempre più il valore della partecipazione collettiva nel processo di “costruzione sociale della realtà territoriale” e la sua importanza nel miglioramento della “qualità della vita”, compito della psicologia di comunità è fornire al territorio strumenti idonei a far levitare tutte le risorse umane utili al raggiungimento del “benessere collettivo”.

Si considerino, ad esempio, quali vantaggi possano essere conseguiti attraverso lo sviluppo di metodiche abbastanza recenti quali il “sensemaking”, la “narrazione” o la “immaginabilità sociale dei luoghi”: il territorio può essere ricontestualizzato, rivitalizzato e, se così si può dire, “riassaporato” quale “unità ambientale” condivisa per il suo significato simbolico, immaginale e narrativo che accomuna interattivamente i suoi appartenenti, compresi gli “appartenenti simbolici” – vale a dire le figure non indigene che in qualche modo, attraverso la partecipazione ad eventi significativi, vengono ad essere inglobate nella storia del luogo e contribuiscono alla sua narrazione, come dimostra, ad esempio, l’esperienza del Seminario Itinerante “L’Immaginario Simbolico” che - attraverso la presenza dell’altro, del diverso, dello straniero – consente nuove esplorazioni delle matrici culturali e del Self storico del luogo, rinsaldandone l’identità e rinnovando le interazioni sociali al suo interno.

Alcune delle moderne tecniche di intervento psicosociale sono abbastanza lontane dall’action-research (ricerca-azione o ricerca-intervento) di lewiniana memoria consistenti nel promuovere, contemporaneamente al condurre una ricerca diretta a conoscere i problemi, le azioni sociali che appaiono le più adatte a darne soluzione.

Di maggiore sottigliezza psicologica appaiono metodiche come il “sensemaking”, che aiuta la comunità - che costruisce la propria realtà sociale - a rivisitare tali realizzazioni, a conferivi senso e ad attribuirvi significato “a posteriori”, in modo da mantenere costante una visione dialogica del percorso collettivo nel suo divenire. Anche le metodiche psicosociali fondate sulla “narrazione” consentono ai membri di una comunità (e alla comunità intera) di conoscersi, riconoscersi, storicizzarsi, accogliersi reciprocamente, intensificare il senso di comune appartenenza, interagire ad un livello più profondo e costruire insieme in modo più vero. Parimenti si può dire delle metodiche finalizzate a potenziare l’“immaginabilità sociale dei luoghi”. È evidente, infatti, che favorendo la donazione di senso al proprio ambiente e la possibilità di immaginarlo nella sua proiezione futura, si realizza una dimensione decisamente pro-sociale.

In ogni caso l’Ente Locale che voglia realmente rendere un servizio alla comunità, che voglia promuovere il welfare all’interno di essa, che voglia prendersi cura dell’empowerment territoriale non può prescindere da dati conoscitivi della realtà sociale e strumenti di ricerca che non passino direttamente proprio attraverso coloro che vivono quotidianamente quella realtà, in modo che le iniziative di empowering che ne possono scaturire siano le più pertinenti ai reali bisogni emergenti.

L’empowering sociale della comunità ha innanzitutto una valenza psicologica positiva perché la comunità, avvertendo la vicinanza dell’Ente Locale e di una leadership politica impegnata ad attenuare le disuguaglianze sociali e ad offrire pari opportunità, può più facilmente superare il sentimento di impotenza collettiva e riacquisire la speranza che, tramite la partecipazione, ognuno possa svolgere un effettivo ruolo nella costruzione sociale della realtà del proprio territorio, e, inoltre che la comunità possa recuperare la propria capacità di prendersi cura di se stessa (care by the community) rendendosi protagonista attiva di una serie di iniziative finalizzate al welfare comune.

In ogni caso qualsiasi operatività che faccia uscire i membri della comunità dalla sensazione che gli avvenimenti si realizzino in modo del tutto estraneo alla loro capacità di influenzarli (locus of control esterno) acquisendo una rinnovata sensazione di potere incidere sugli avvenimenti e di poterli in qualche modo controllare (locus of control interno) si traduce nel miglioramento del welfare individuale e collettivo, che già corrisponde, di per sé, ad una operazione di prevenzione primaria.

Il problema che l’amministratore locale deve risolvere è quello di riuscire ad attivare strumenti conoscitivi (procedure conoscitive) che non comportino grande dispendio economico, largo impiego di operatori o lungo tempo e che risultino allo stesso tempo del tutto efficaci.

Probabilmente, hanno fatto il loro tempo sondaggi estensivi o di massa (procedure estensivo-quantitive) che sembrano più adatti a ricerche di mercato, mentre più incisive per una politica di community development e di potenziamento del welfare sociale appaiono procedure intensivo-qualitative sulla base di interviste e/o colloqui finalizzati ad assumere dati da analizzare ed interpretare per elaborare ipotesi di successivi interventi. A differenza della ricerca estensivo-quantitativa, che può essere validabile solo e in quanto derivata da una proiezione di vasti numeri la cui attendibilità è regolata da precise norme statistiche, la ricerca qualitativa si fonda sulla testimonianza di un numero non vasto di soggetti e sull’analisi che ne deriva; l’importante è, in questo caso, ricorrere a questionari predefiniti che impediscano all’intervistato sconfinamenti non registrabili (o per meglio dire che non comportino una registrazione delle risposte allorché dovessero verificarsi tali sconfinamenti).

L’intervista strutturata è una modalità di ricerca che può risultare preziosa al fine di ottenere dati e osservazioni che potrebbero essere oggetto di eventuali successive ricerche più focalizzate o più sistematiche.

Nella ricerca di Raffaella Anania, pubblicata sulla nostra rivista “Psicologia Dinamica” N.1,2,3 anno 2002 con il titolo “Matrici culturali e trasformazioni della comunità”, è stato messo a punto un modello di intervista strutturata che può costituire un’importante formula per lo sviluppo di una più sistematica operatività. Scopo della ricerca era comprendere, attraverso l’intervista, sia l’idea di sviluppo prevalente nelle piccole comunità esaminate sia l’immaginario sociale emergente attraverso le persone intervistate. Sono state predisposte una serie di domande abbastanza semplici nella loro formulazione che poi sono state proposte sistematicamente a tutte le persone con le quali v’è stata la possibilità, nel periodo di tempo prestabilito, di avere un incontro nell’ambito della comunità prescelta. Le domande venivano poste verbalmente in un contesto duale intervistatore-intervistando.

Il modello di ricerca si è rivelato particolarmente adatto e applicabile a realtà culturali che sono poco abituate a sondaggi di massa. Il modello risulta ben accetto alle persone intervistate e non determina resistenze, inoltre, ha il vantaggio di non prevedere un diretto coinvolgimento delle strutture e delle istituzioni formali presenti in ciascuna comunità. In base alle ragioni sopra esposte, è indispensabile, in base al modello di ricerca, evitare qualsiasi preselezione dei soggetti da intervistare mentre è necessario che l’incontro con le persone avvicinate dal ricercatore per realizzare l’indagine avvenga in modo del tutto casuale. Gli unici parametri da rispettare sono l’omogenea percentuale (per sesso, età e attività lavorativa) dei soggetti intervistati in ciascuna comunità, in modo da evitare che, ad esempio, in una comunità prevalga un numero di intervistati appartenenti al sesso maschile o in un’altra comunità prevalgano i soggetti intervistati rientranti nell’età senile e così via: ciò renderebbe difficile l’interpretazione analitica dei dati e una comparazione tra are territoriali diverse. L’interpretazione dei dati è abbastanza facile. Il vantaggio principale di questa azione di ricerca è che gli eventuali interventi di empoewring sociale della comunità che ne possono scaturire una volta tanto non sono il frutto del pensiero di un’autorità locale che pretende di sapere dall’alto cosa prioritariamente c’è bisogno che sia realizzato nella comunità ma quel che la genuinamente la gente reputa sia prima di ogni cosa essenziale per il bene comune nel proprio luogo di vita.

 

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