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Scopo primario della psicologia di comunità è
ricercare il modo di migliorare la qualità della vita e
il benessere di una comunità attraverso strumenti di
ricerca finalizzati ad individuare (ricerca-analisi,
network analysis) le cause psicosociali di disagio
individuale e collettivo e, alla luce dei dati acquisiti
attraverso la ricerca sul “campo” (quale
contesto-spazio vitale inclusivo dell’ambiente fisico,
sociale e psicologico), ad elaborare insieme agli
appartenenti alla comunità dei progetti
(intervento-azione sociale) che si traducano in un
empowerment della comunità.
L’ideale sarebbe operare in modo da aumentare la
consapevolezza dei problemi da parte dei membri di una
comunità e aiutarli a progettare autonomamente i
cambiamenti desiderati, ma non sempre è facile superare
le diverse forme di resistenza, compresa la mancanza di
una vera tradizione al riguardo, e gli ostacoli che
possono continuamente frapporsi alla realizzazione di un
tale percorso operativo. D’altro canto, è vero che
tutta una serie di interventi rientranti nella community
development psychology che appaiono come interventi di
“azione sociale” non raramente finiscono col
risultare difficilmente distinguibili dall’“azione
politica”, mentre a nostro giudizio è compito
dell’operatore psico-sociale il saper mantenersi
nell’ambito della specifica consulenza tecnica.
L’agire psicosociale finalizzato allo sviluppo di
comunità può utilmente consistere nell’offrire
sistemi di “sostegno sociale” tali da incrementare i
livelli di informazione, partecipazione e comunicazione
interpersonale all’interno del territorio in cui si
interviene, potenziando le interazioni tra le singole
persone e i gruppi che compongono l’intera comunità e
operando sia a livello di network formale (istituzioni,
enti, ecc.) sia a livello di network informale (la rete
di familiari, amici, conoscenti, gruppi di auto-aiuto e
così via).
In un periodo storico in cui finalmente si riconosce
sempre più il valore della partecipazione collettiva
nel processo di “costruzione sociale della realtà
territoriale” e la sua importanza nel miglioramento
della “qualità della vita”, compito della
psicologia di comunità è fornire al territorio
strumenti idonei a far levitare tutte le risorse umane
utili al raggiungimento del “benessere collettivo”.
Si considerino, ad esempio, quali vantaggi possano
essere conseguiti attraverso lo sviluppo di metodiche
abbastanza recenti quali il “sensemaking”, la
“narrazione” o la “immaginabilità sociale dei
luoghi”: il territorio può essere ricontestualizzato,
rivitalizzato e, se così si può dire,
“riassaporato” quale “unità ambientale”
condivisa per il suo significato simbolico, immaginale e
narrativo che accomuna interattivamente i suoi
appartenenti, compresi gli “appartenenti simbolici”
– vale a dire le figure non indigene che in qualche
modo, attraverso la partecipazione ad eventi
significativi, vengono ad essere inglobate nella storia
del luogo e contribuiscono alla sua narrazione, come
dimostra, ad esempio, l’esperienza del Seminario
Itinerante “L’Immaginario Simbolico” che -
attraverso la presenza dell’altro, del diverso, dello
straniero – consente nuove esplorazioni delle matrici
culturali e del Self storico del luogo, rinsaldandone
l’identità e rinnovando le interazioni sociali al suo
interno.
Alcune delle moderne tecniche di intervento psicosociale
sono abbastanza lontane dall’action-research
(ricerca-azione o ricerca-intervento) di lewiniana
memoria consistenti nel promuovere, contemporaneamente
al condurre una ricerca diretta a conoscere i problemi,
le azioni sociali che appaiono le più adatte a darne
soluzione.
Di maggiore sottigliezza psicologica appaiono metodiche
come il “sensemaking”, che aiuta la comunità - che
costruisce la propria realtà sociale - a rivisitare
tali realizzazioni, a conferivi senso e ad attribuirvi
significato “a posteriori”, in modo da mantenere
costante una visione dialogica del percorso collettivo
nel suo divenire. Anche le metodiche psicosociali
fondate sulla “narrazione” consentono ai membri di
una comunità (e alla comunità intera) di conoscersi,
riconoscersi, storicizzarsi, accogliersi reciprocamente,
intensificare il senso di comune appartenenza,
interagire ad un livello più profondo e costruire
insieme in modo più vero. Parimenti si può dire delle
metodiche finalizzate a potenziare l’“immaginabilità
sociale dei luoghi”. È evidente, infatti, che
favorendo la donazione di senso al proprio ambiente e la
possibilità di immaginarlo nella sua proiezione futura,
si realizza una dimensione decisamente pro-sociale.
In ogni caso l’Ente Locale che voglia realmente
rendere un servizio alla comunità, che voglia
promuovere il welfare all’interno di essa, che voglia
prendersi cura dell’empowerment territoriale non può
prescindere da dati conoscitivi della realtà sociale e
strumenti di ricerca che non passino direttamente
proprio attraverso coloro che vivono quotidianamente
quella realtà, in modo che le iniziative di empowering
che ne possono scaturire siano le più pertinenti ai
reali bisogni emergenti.
L’empowering sociale della comunità ha innanzitutto
una valenza psicologica positiva perché la comunità,
avvertendo la vicinanza dell’Ente Locale e di una
leadership politica impegnata ad attenuare le
disuguaglianze sociali e ad offrire pari opportunità,
può più facilmente superare il sentimento di impotenza
collettiva e riacquisire la speranza che, tramite la
partecipazione, ognuno possa svolgere un effettivo ruolo
nella costruzione sociale della realtà del proprio
territorio, e, inoltre che la comunità possa recuperare
la propria capacità di prendersi cura di se stessa
(care by the community) rendendosi protagonista attiva
di una serie di iniziative finalizzate al welfare
comune.
In ogni caso qualsiasi operatività che faccia uscire i
membri della comunità dalla sensazione che gli
avvenimenti si realizzino in modo del tutto estraneo
alla loro capacità di influenzarli (locus of control
esterno) acquisendo una rinnovata sensazione di potere
incidere sugli avvenimenti e di poterli in qualche modo
controllare (locus of control interno) si traduce nel
miglioramento del welfare individuale e collettivo, che
già corrisponde, di per sé, ad una operazione di
prevenzione primaria.
Il problema che l’amministratore locale deve risolvere
è quello di riuscire ad attivare strumenti conoscitivi
(procedure conoscitive) che non comportino grande
dispendio economico, largo impiego di operatori o lungo
tempo e che risultino allo stesso tempo del tutto
efficaci.
Probabilmente, hanno fatto il loro tempo sondaggi
estensivi o di massa (procedure estensivo-quantitive)
che sembrano più adatti a ricerche di mercato, mentre
più incisive per una politica di community development
e di potenziamento del welfare sociale appaiono
procedure intensivo-qualitative sulla base di interviste
e/o colloqui finalizzati ad assumere dati da analizzare
ed interpretare per elaborare ipotesi di successivi
interventi. A differenza della ricerca
estensivo-quantitativa, che può essere validabile solo
e in quanto derivata da una proiezione di vasti numeri
la cui attendibilità è regolata da precise norme
statistiche, la ricerca qualitativa si fonda sulla
testimonianza di un numero non vasto di soggetti e
sull’analisi che ne deriva; l’importante è, in
questo caso, ricorrere a questionari predefiniti che
impediscano all’intervistato sconfinamenti non
registrabili (o per meglio dire che non comportino una
registrazione delle risposte allorché dovessero
verificarsi tali sconfinamenti).
L’intervista strutturata è una modalità di ricerca
che può risultare preziosa al fine di ottenere dati e
osservazioni che potrebbero essere oggetto di eventuali
successive ricerche più focalizzate o più
sistematiche.
Nella ricerca di Raffaella Anania, pubblicata sulla
nostra rivista “Psicologia Dinamica” N.1,2,3 anno
2002 con il titolo “Matrici culturali e trasformazioni
della comunità”, è stato messo a punto un modello di
intervista strutturata che può costituire
un’importante formula per lo sviluppo di una più
sistematica operatività. Scopo della ricerca era
comprendere, attraverso l’intervista, sia l’idea di
sviluppo prevalente nelle piccole comunità esaminate
sia l’immaginario sociale emergente attraverso le
persone intervistate. Sono state predisposte una serie
di domande abbastanza semplici nella loro formulazione
che poi sono state proposte sistematicamente a tutte le
persone con le quali v’è stata la possibilità, nel
periodo di tempo prestabilito, di avere un incontro
nell’ambito della comunità prescelta. Le domande
venivano poste verbalmente in un contesto duale
intervistatore-intervistando.
Il modello di ricerca si è rivelato particolarmente
adatto e applicabile a realtà culturali che sono poco
abituate a sondaggi di massa. Il modello risulta ben
accetto alle persone intervistate e non determina
resistenze, inoltre, ha il vantaggio di non prevedere un
diretto coinvolgimento delle strutture e delle
istituzioni formali presenti in ciascuna comunità. In
base alle ragioni sopra esposte, è indispensabile, in
base al modello di ricerca, evitare qualsiasi
preselezione dei soggetti da intervistare mentre è
necessario che l’incontro con le persone avvicinate
dal ricercatore per realizzare l’indagine avvenga in
modo del tutto casuale. Gli unici parametri da
rispettare sono l’omogenea percentuale (per sesso, età
e attività lavorativa) dei soggetti intervistati in
ciascuna comunità, in modo da evitare che, ad esempio,
in una comunità prevalga un numero di intervistati
appartenenti al sesso maschile o in un’altra comunità
prevalgano i soggetti intervistati rientranti nell’età
senile e così via: ciò renderebbe difficile
l’interpretazione analitica dei dati e una
comparazione tra are territoriali diverse.
L’interpretazione dei dati è abbastanza facile. Il
vantaggio principale di questa azione di ricerca è che
gli eventuali interventi di empoewring sociale della
comunità che ne possono scaturire una volta tanto non
sono il frutto del pensiero di un’autorità locale che
pretende di sapere dall’alto cosa prioritariamente
c’è bisogno che sia realizzato nella comunità ma
quel che la genuinamente la gente reputa sia prima di
ogni cosa essenziale per il bene comune nel proprio
luogo di vita.
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